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L’associazione Terracomunica ha come vocazione raccontare con un approccio culturale la terra ed i territori a chiunque, consapevole della loro forza comunicativa.

Da anni Terracomunica, nel mese di aprile, quando il clima di festa si fa sentire di più in tutto il territorio eugubino, coinvolge a Gubbio ragazzi rifugiati con l’obiettivo di far conoscere loro la città e la sua storia. “Terracomunica togheter ” è un progetto organizzato in quattro appuntamenti fondamentali, partendo una visita alla città di Gubbio tra musei, chiese e vie di tutto il centro storico. Lo scopo era quello di far capire loro la storia, l’arte e la cultura della terra che li ospita.

Abbiamo organizzato poi un appuntamento gastronomico, con la preparazione e la degustazione di alcuni piatti della cucina tipica locale, di vini e birre locali, accompagnati da interessanti spiegazioni delle storie e delle diversità che ci sono dietro. Rimanendo in tema di cucina poi, abbiamo organizzato all’interno dei quattro incontri una serata a base di pizza, “friccò” e dolci della tradizione locale,  per far assaporare ai ragazzi la tipicità del luogo e le storie che stanno dietro al cibo umbro.

Un altro appuntamento quindi si è focalizzato sulla visione di un filmato sulla Festa dei Ceri. I ragazzi entusiasti ed interessati hanno contribuito con le loro domande a creare un clima di discussione, confronto e scambio di idee che ha dato loro maggiore consapevolezza del luogo in cui stanno vivendo.

Per questo Paolo Tosti, ideatore  oltre 10 anni fa dell’iniziativa, aiutato da un  gruppo di eugubini  e soci della associazione Terracomunica afferma:

“Da sempre ci raccontiamo e, tramite questo, siamo. Io penso che siamo persone, famiglia, popolo. Ci ritroviamo e troviamo l’altro. Quando il racconto cessa, smette di essere il proprio racconto, smettiamo di esistere, di essere qualcosa di più di bandiere al vento. Io credo che ogni persona sia comunicatrice della propria terra e territorio, per questo si deve assumere la responsabilità di cosa racconta e vive. Ogni persona che si incontra è orgogliosa di far conoscere le proprie tradizioni e culture. E noi dovremmo essere disponibili ed orgogliosi di far conoscere le nostre a loro. Responsabilmente saremo i primi a tramandare le nostre tradizioni, le nostre culture e i nostri cibi. Spesso noi un po’ per paura ci attacchiamo ai riti, ai placidi violenti riti quotidiani, perdendo così il racconto e l’anima delle emozioni, che diventano sempre più stantie, sempre più tardive, sempre più nostalgicamente perse.

Si consumano, tempo, relazioni, energie, insomma si cerca troppo lo spettacolo quando spesso basterebbe accontentarsi dell’emozione del vivere la nostra terra e la nostra festa. Per le persone spesso la refrattarietà alla vita è sempre più chiara quando questa gli viene mostrata da chi ha ancora fame di relazioni, da chi ha ancora sete di conoscenza e di sapere, talvolta innalzando barriere a difesa del proprio vuoto riempito di cose, riciclabili, riproponibili all’infinito e alla fine inutili. Se però ci si ferma, nondimeno ci si sofferma, ci si può ancora stupire, raccontare e raccontarsi, ridare luce ad occhi troppo abituati al buio. Riordinarsi e rivivere con semplicità una festa antica quanto i nostri territori. Dare alla speranza una reale cittadinanza, consapevoli che in una terra da riordinare si deve convivere rispettando le tradizioni e le proprie culture”.